Concetto

The Parliament of Marmots*

La leggenda dei Fanes - uno dei più affascinanti miti ladini delle Dolomiti, ricostruito all’inizio del XX secolo dallo scrittore austriaco Karl Felix Wolff - racconta le vicende di un popolo mite e pacifico, il cui regno si estendeva oltre le sette montagne, ai confini del mondo. Il segreto della prosperità di questo popolo risiedeva nell’alleanza con le marmotte, di cui i Fanes potevano dirsi discendenti, poiché tra quegli animali - affidata loro dall’Anguana, la ninfa dell'acqua - era cresciuta Moltina, la loro prima antenata. Quando l’alleanza fu rotta a causa di una principessa vergognosa del patto con gli animali, i Fanes andarono incontro a sventure e conflitti che portarono presto al declino del regno. I pochi superstiti si recarono allora in un antro sotto le rocce, dal quale, ancora oggi, insieme alle marmotte, attendono che suonino le trombe argentate che ne segnaleranno la rinascita.[1]

Le credenze alla base delle leggende dolomitiche hanno radici profonde, che affondano nei tempi della protostoria, nel momento del passaggio dai piccoli gruppi di cacciatori e raccoglitori alle prime comunità organizzate di allevatori e agricoltori. Sono strutture totemiche che raccontano il complesso rapporto di queste società arcaiche con il tema dell’anima, della cui presenza sono pervase tutte le principali entità della natura vivente nella sua dimensione più libera e selvaggia.[2]

Ma cosa significa oggi “essere selvaggi”?  Dove possiamo ancora riconoscere una qualche forma di libertà naturale, in un pianeta in cui non esistono più luoghi incontaminati? E quale insegnamento possiamo trarre da queste realtà? Quali spazi le rovine del capitalismo riserveranno alla natura selvaggia? Quali possibilità di vita e quali forme di sopravvivenza? Tutte queste domande hanno orientato il progetto di Biennale Gherdëina 9 e - in modalità, traiettorie e temporalità diverse - il lavoro degli artisti e artiste chiamati a parteciparvi. Traghettato nel nostro tempo, l’archetipo dell’alleanza con le marmotte apre una riflessione sulla rottura dell’equilibrio interspecie perpetrata dalla civiltà contemporanea. Dall’analisi del nostro rapporto con gli animali non umani possiamo comprendere molto della più generale crisi del patto umano con la natura nella sua interezza, ma anche delle forme di discriminazione, controllo e violenza che affliggono la specie umana al proprio interno. Questo è ciò che sostengono le tesi antispeciste avanzate alla metà degli anni Settanta da autori e autrici come Peter Singer.[3] Tesi che, in tempi più recenti, sono state integrate e rielaborate all’interno di riflessioni filosofiche, nuovi studi antropologici e narrazioni interspecie arrivate ad abbracciare oggi l’intero campo del vivente. Lo dimostrano le tesi antispeciste proposte da autori come Peter Singer a metà degli anni Settanta, che ancora oggi sono in grado di sfidare profondamente il nostro pensiero.

Nel ricostruire le antiche storie della tradizione orale dolomitica, Karl Felix Wolf attinse alla mitologia nordica - di cui la cultura del suo tempo era permeata, funzionale anche alla perpetuazione del mito imperiale austro-ungarico - perdendo di vista il forte legame di questi racconti con le antiche narrazioni mediterranee. La stessa Dolasilla, principale eroina della saga dei Fanes, che Wolff descrive come una sorta di valchiria conquistatrice, molto sembra avere in comune con la figura di Artemide siderale, la Dea greca della Luce Lunare che appare sotto le vesti della cacciatrice per proteggere la fertilità della natura.

Quelle ladine sono leggende che non parlano di creazioni - di esseri umani o di imperi - bensì di trasformazioni, di metamorfosi e di contaminazioni, celebrando la natura selvaggia, il ciclo “vita-morte-vita” e il rapporto complesso e profondo tra le diverse specie del mondo vivente. Rileggendo i miti da questa prospettiva, le Dolomiti - questi monumentali costoni di roccia riemersi dal mare, questi residui di giganteschi banchi di corallo affiorati 250 milioni di anni fa - da barriera, roccaforte o confine si fanno luogo di incontro, ricucitura e contaminazione.

Sovrapponendo allo sfondo delle antiche leggende dolomitiche nuovi racconti di montagna, di bosco, di migrazione, di animalità e di alleanze interspecie, The Parliament of Marmots abbraccia un campo di indagine che, insieme al continente europeo, si estende fino ai territori mediterranei del Nord Africa e del Medio Oriente, da cui le strutture totemiche alla base degli stessi miti ladini sembrano in massima parte derivare.

Secondo l’antropologa Anna Tsing, la capacità di fabbricare mondi non è prerogativa degli umani, per questo è necessario rivolgersi a modi di fare mondo o modi di esistenza al di là dell’umano. Ciò non significa adottare una prospettiva post-umana - dove l’umano scompare - ma aprirsi al racconto di storie “più-che-umane”, in cui gli umani perdono la propria centralità, nella consapevolezza che nessun organismo può divenire se stesso senza l’assistenza di altre specie.[4]

Cercando di ricomporre una visione possibile di questi mondi, Biennale Gherdëina 9 presenta un mosaico ibrido di proposte artistiche, aprendo alla possibilità di una ricucitura culturale e politica tra Alpi e Mediterraneo, tra origini e prospettive, e deconcettualizzando l’idea di natura a vantaggio di una dimensione narrativa, esistenziale, del selvaggio al tempo del “capitalocene”.[5]

 Lorenzo Giusti

*estratto dal testo del catalogo

[1] Il Parlamento delle marmotte (the ‘Parliament of Marmots’) is the name given in the 1950s to the natural amphitheatre on the Alpe di Fanes, in Val Badia, where to this day, despite the presence of humans, many of these rodents still live. The underground region where – according to the legends reconstructed by Wolff – the last of the Fanes went into hiding is to be found near Lake Braies, in the valley of the same name, off the side of Val Pusteria.

[2] Cf. Ulrike Kindl, Raccontare le origini, in Nicola Dal Falco, Miti ladini delle Dolomiti. Ey de Net e Dolasìla, published by Palombi editore, Rome 2012, pp. 199–258.

[3] Cf. Peter Singer, Animal Liberation, published by HarperCollins, New York, 1975.

[4] Cf. Anna Tsing, The Mushroom at the End of the World. On the Possibility of Life in Capitalist Ruins, Princeton University Press, Princeton 2015.

[5] The term ‘Capitalocene’, introduced by Jason W. Moore, has been adopted by numerous scholars as a more coherent variant on the term ‘Anthropocene’, capable of highlighting the historical intertwining between patriarchy, colonialism and speciesism underpinning the current ecological crisis.


Curatore

A cura di Lorenzo Giusti
con la curatrice associata Marta Papini

Curatore
Lorenzo Giusti (PhD) è uno storico dell'arte e curatore, appassionato di montagna e amante delle camminate negli spazi naturali. Dopo essere stato direttore del Museo MAN di Nuoro (2012-2017), attualmente è direttore della GAMeC – Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, dove, oltre a numerose mostre personali, ha ideato e co-curato i programmi multidisciplinari di lungo termine *The Trilogy of Matter* (2018-2023) e *Thinking Like a Mountain* (in corso), e ha fondato, durante la crisi pandemica del 2020, la piattaforma digitale Radio GAMeC. Come curatore indipendente, ha realizzato mostre, curato pubblicazioni o collaborato in diversi ruoli con numerose istituzioni e organizzazioni pubbliche e private, tra cui Kunsthaus Baselland, Mumok Vienna, Art Dubai, Biennale di Venezia, Artissima Torino, Vienna Curated by Festival, Palazzo Grassi-Punta della Dogana a Venezia, OGR Torino, Shenzhen Animation Biennale, FRAC Corse, Triennale Milano, Palazzo Strozzi a Firenze e altre. I suoi interessi principali riguardano il rapporto tra le avanguardie storiche e i linguaggi e le pratiche contemporanee, nonché tra il pensiero ecologico e le arti contemporanee.

Curatrice Associata
Marta Papini è una curatrice indipendente, transfemminista e amante della montagna. È la curatrice di *Radis*, un progetto quadriennale di arte pubblica promosso dalla Fondazione per l'Arte Moderna e Contemporanea CRT, e curatrice associata di *Thinking like a Mountain* (2024-2026), curato da Lorenzo Giusti. Nel 2023 ha fatto parte del comitato di selezione del Future Generation Art Prize. Nel 2020-2022 è stata l'organizzatrice artistica de *Il latte dei sogni*, 59ª edizione della Biennale di Venezia, curata da Cecilia Alemani. Ha curato, co-curato e organizzato diverse mostre, tra cui *Lonely Are All Bridges. Birgit Jürgenssen and Cinzia Ruggeri* alla Galerie Hubert Winter di Vienna (2021); *Il mondo magico*, Padiglione Italia alla 57ª Biennale di Venezia (2017, curata da Cecilia Alemani); *The Artist is Present* al Yuz Museum di Shanghai (2018, con Maurizio Cattelan). Ha trascorso diversi anni nel dipartimento curatoriale del Centro Pecci di Prato, dove ha organizzato presentazioni di opere di Aleksandra Mir (2018), Eva Marisaldi (2019) e Mark Wallinger (2018), e la mostra *Protext!* (2021). Scrive di arte contemporanea per la rivista *Icon*.


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